domenica 21 settembre 2014

Relazioni interpersonali su Facebook.


Non è certo un mistero, io frequento assiduamente facebook.

Ingenuamente, ritenevo che tutti avessero chiare le dinamiche della comunicazione su un social network.  Tuttavia, un post di alcuni giorni fa, condiviso in bacheca, da un mio contatto (che è anche un'amica reale), mi ha portato a riflettere.

Forse è il caso di fornire il mio contributo alla causa e dire la mia, sulle modalità di relazione interpersonale su facebook. Ovviamente mi riferisco al mio caso specifico, non ho condotto una statistica fra tutti gli utenti.

1. La bacheca di facebook è uno spazio personale in cui condividere idee e ideali, opinioni, riflessioni in merito ad eventi che hanno suscitato la propria attenzione e sui quali si nutre interesse per un confronto intellettuale, civile e costruttivo.

2. Oltre a ciò, facebook non è una sessione dell'ONU, vi si affrontano tematiche più leggere, ironiche, anche decisamente "infantili". Ridere è indice di intelligenza. Ridere di inezie, fra amici complici, denota un atteggiamento verso la vita non superficiale, ma, paradossalmente, molto profondo. 
La consapevolezza, matura, del valore delle piccole cose, di uno scambio di battute fra amici di vecchia data, rende UMANI, ed è ciò di cui si dovrebbe essere più orgogliosi.

3. Arriviamo all'aspetto più dibattuto: le bachece di facebook ospitano, spesso, una carrellata di foto il cui novero fa impallidire la collezione di opere del Louvre. Tutto è oggetto di condivisione, dal piatto di risotto fumante, che attende di essere gustato, ai propri piedi sulla spiaggia, fino all'ultima serata in compagnia. 

C'è chi non ama rendere noti i dettagli della propria vita privata. Scelta, del tutto personale, estremamente condivisibile.

C'è chi non ama essere tartassato da foto di altrui gatti in tutte le pose possibili. Anch'essa scelta rispettabile. Basta usare gli appositi filtri
Nel mio caso specifico, non li uso, perchè i books fotografici di gatti, cani, piedi e visi sorridenti, mi piacciono.

C'è chi ama non pubblicare nulla, ma rendersi edotto, nell'ombra, di ogni evento della vita altrui. Non è una scelta che è in linea con il mio carattere, tuttavia non la considero affatto deprecabile, perchè, se pubblico le mie foto, sono pienamente consapevole che esse sono fruibili da tutti i miei amici. In caso volessi che restassero riservate, opterei per una lista personalizzata, o le osserverei, sul divano di casa, con mio marito.

4. E ora, la fatidica domanda: la bacheca di facebook è uno specchio fedele o deformato, ad arte, della vita reale? Si crea un identità fasulla in cui sembra che si viva in uno stato di perenne grazia?

In taluni casì, sì. E bisogna, da bravi adulti, rassegnarsi al fatto. Del resto, se vado dalla parrucchiera e la signora seduta accanto a me mi decanta le doti dei propri figlioli, non le chiederò certo di confessarmi, in tutta sincerità, se, almeno una volta, abbia pensato di avere generato un rampollo che non rasenti la divina perfezione.

Personalmente, nella mia bacheca scrivo un po' di tutto, dall'esplosione di gioia allo sfogo liberatorio. Posso affermare che è uno spaccato piuttosto affine alla mia vita. Onesto, oserei scrivere. 
Tuttavia, nessuno può pretendere di conoscermi, tramite un social network, come un amico o un parente: confido nell'umiltà e nell'intelligenza dei miei contatti. A volte vi confido troppo, va confessato.

5. Ed infine, una serie di domande, a cui rispondo ricorrendo, meramente, a personale esperienza, solo ad essa.

Gli assidui frequentatori di facebook:
sono capaci di avere una rete di affetti ed amicizie estranee al social network?
Sì, senza problemi. Non riportano danni permanenti.

Sono perennemente privi di ogni altro interesse, se non limitato al settore di cui dissertiamo?
No, di solito si interagisce su facebook mentre si svolgono altre attività: c'è chi fa pausa con un caffè, chi con un paio di like.

Dato che sono su facebook, sono tenuti ad assolvere ogni funzione richiesta, in qualità di impiegati al pubblico servizio, quali: rispondere ad ogni poke e messaggio entro 10 secondi, commentare ogni singolo post di tutti i contatti, condividere le foto della festa del decimo compleanno del figlio dell'amico del vicino di casa, creando un album, così che tutti gli invitati abbiano un ricordo entro una manciata di ore?
No, sono liberi di impiegare il proprio tempo come meglio credono.

Infine, udite udite, per molti facebook, è, oltre a quanto finora elencato, uno strumento corollario del proprio lavoro, sia per divulgazione, ma soprattutto per informazione e condivisione.

Alla fine della fiera, facebook, se lo si vive, o lo si ama o lo si odia.
In entrambi i casi, gentili signori, basta un click.

Buona navigazione!

Emma Fenu





mercoledì 10 settembre 2014

Baci infiniti, fatti d'inchiostro, di colore e di marmo.


Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante
”.
Dante, Inferno, Canto V.



Di baci a lungo si scrisse, tutt’oggi si scrive e sempre si scriverà.
Ci sono parole capaci di farci sognare, immaginare, ricordare. 

Sia che si susseguano in pagine vergate con inchiostro corvino, consunte e ingiallite, perché soggette allo scorrere di troppi cicli lunari, sia in quelle candide e tese come la pelle di un bambino, digitate con Word, esse altro non attendono che di svelarsi.

Siamo travolti in un turbine infinito di frecce scagliate dall’imprevedibile Cupido, e, palpitanti, attraversiamo epopee cavalleresche e episodi biblici, fino a giungere ai romanzi e alle poesie che accennano allo sfiorarsi pudico delle labbra o che si soffermano sulla travolgente passione con cui due esseri si stringono in un bacio senza pause di respiro. 
Proprio grazie a tali letture, si è data vita a creazioni impalpabili di desiderio, ma anche a tangibili, e numerosissime, rappresentazioni artistiche.
Come non ricordare le meravigliose opere di Hayez, di Rodin, di Klimt, di Munch, di Magritte, di Chagall o di Brancusi? E mi limito a citarne solo alcune.

Tuttavia, una è la mia preferita, quella che, durante la mia prima visita al Louvre, mi ha rapito in volo l’anima e ha trascinato tutti i miei sensi in un vortice senza fiato. 
Mi ha baciata.
Si tratta del gruppo marmoreo ritraente Amore e Psiche, scolpito da Antonio Canova
I due amanti sono i protagonisti della celebre storia narrata da Apuleio, ne “Le Metamorfosi”, secondo la quale Psiche (che simboleggia, appunto, l’Anima), mortale di impareggiabile bellezza, si congiunge in matrimonio con Amore, il dio alato, pur non potendo mai scorgerne, alla luce, le fattezze. 
Spinta dalle sorelle, brucianti di invidia, ad infrangere il divieto, la fanciulla dovrà sottoporsi ad una serie di dure prove, prima di ricongiungersi al desiato marito, ottenendo, così, l’immortalità.

Nell’opera di Canova, il dio è colto nell’atto di abbracciare la donna, proteso verso la di lei bocca, impercettibilmente già dischiusa. L'armonica composizione a “incrocio”, detta chiasmo, dei corpi candidi e il cerchio creato dalle braccia di lui, catalizza l’attenzione dell'astante verso il centro, in cui l’attimo, scosso da brividi, che precede il contatto delle labbra, diviene, grazie all’Arte, immortale, imperituro e assoluto.

Il rumore di un bacio non è così forte come quello del cannone, ma la sua eco dura molto più a lungo”.
Oliver Wendell Holmes.


EmmaFenu
edito in Nordic Lifestyle Magazine




martedì 9 settembre 2014

Mille primi baci.


Mille primi baci.

Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille,
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto”.

Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum,
Dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum”.
Gaio Valerio Catullo

Siamo nati per essere baciati e per baciare.
L’intimo contatto fra le labbra, infatti, deriva dal gesto, animalesco e primitivo, di masticare il cibo per renderlo più morbido per le gengive rosee dei propri cuccioli e si evolve con la Storia dell’umanità e con la microstoria di ciascuno.

Ti nutro.
Ti mangio.
Ho un bisogno vitale di te.
Sono tua.
Sei mio.

Era ormai notte, ma il muretto su cui eravamo seduti era ancora caldo. Serbava e dispensava i raggi del sole di agosto, come uno scrigno appena dischiuso, che offre a ciascuno i suoi tesori, sfavillanti gioielli d’oro e pietre preziose, perché sa che se ne colmerà di nuovi, al mattino seguente.
Ricordo benissimo le sue scarpe, in tela rossa, con la parte interna, in gomma, consumata dall’attrito con il motore del “sì”. Anche le mie nike nere, con i profili lilla, erano logorate in quel punto preciso.

Il primo bacio.
Non importa se i visi si scontrano maldestramente. 
Non importa se devi levarti l’apparecchio per i denti in una frazione infinitesimale di secondo prima che tutto accada, benedicendo di non aver optato per quello fisso. 
Non importa se devi issarti verso la sua bocca innalzandoti sulle punte, con uno slancio che ti riporta alla memoria la ballerina di carta, protagonista della struggente fiaba di Andersen.
Quell’istante ti rimarrà impresso per sempre e ti farà increspare le labbra, le stesse che, rosse come ciliegie, tremarono, allora, d’imbarazzo, in un sorriso dolce, che saprà farsi spazio anche in un volto solcato da mille rughe e consunto da mille altri baci.

Io credo che la vita sia costellata di “primi baci”. 
Da quello della mamma, un petalo vellutato sulla propria fronte umida e rugosa di bimbo, che poco prima era cullato nelle viscere, a quello del papà, tenero nonostante le guance ruvide di barba, a quelli vibranti di passione, che sigillano, come timbri sulla cera lacca, l’inizio delle nostre storie d’amore, fino a quelli che, seguendo il ritmo ciclico dell’esistenza, restituiamo, nelle vesti di genitori, zii e nonni, a chi è appena venuto alla luce, innocente e già affamato di baci.

Emma Fenu


lunedì 8 settembre 2014

Il mio primo libro. Dalle “Fiabe della Buonanotte” a “Piccole Donne”.


Il mio primo libro.
Dalle “Fiabe della Buonanotte” a “Piccole Donne”.



Ho esitato, davanti al titolo che sovrasta l’articolo che vi accingete a leggere.
Molti sono i primi libri che hanno cosparso di parole i capitoli della nostra esistenza, come molti sono i primi baci che hanno accarezzato la nostra pelle.
Su quale libro urge, dunque, soffermarsi ora?
Vi è un primo che ci venne letto la sera, con la testa che affondava nel cuscino, quando ancora le lettere dell’alfabeto erano figure aliene, schierate, una dopo l’altra, come passeggeri stipati in piccoli vagoni separati da spazi bianchi, in un treno che giungeva a destinazione tramite la voce narrante del papà o della mamma.
Vi è un primo che ricevemmo in regalo, scartato con bramosia e suggellato da una dolce dedica.
Vi è un primo, infine, che leggemmo senza ausilio esterno, vittoriosi e felici, dopo aver avuto accesso al magico codice, i cui simboli, posti in avvicendamento sulla carta, lentamente si disvelavano… e la storia aveva inizio.

Le notti della mia infanzia, profumate di sapone di Marsiglia, sprigionato dalle lenzuola rosa, esordivano con le prime righe tratte da un tomo datato, riportante le Fiabe raccolte dai Fratelli Grimm.
Tuttavia, dopo una manciata di secondi, prendevano forma e colore altre storie, attinte dalla memoria, che mi proiettavano in distese infinite di piante di pomodori, dietro a corse con i piedi nudi, sulla terra fertile e umida, e fra sassaiole che coinvolgevano bande di ragazzini spettinati. Ogni sera mio padre componeva una parte della sua autobiografia, solo per me.


Fu mia madre, invece, a donarmi il mio primo libro, in occasione del mio terzo compleanno. Si trattava della versione cartacea di un cartone animato, all’epoca da me preferito, ossia “Heidi” di Johanna Spyri, che narra le vicissitudini della bimba dalle guance scarlatte, che si struggeva di nostalgia per i suoi monti della Svizzera, costretta dentro le mura di una lussuosa dimora di Francoforte. Alcuni giorni fa ne ho acquistato una versione edita nel 1953, in inglese. Il primo libro non si scorda mai.


Ma la svolta epocale della mia vita di essere contingente, avido di scoperta e di assoluto, fu il primo libro che lessi, agli esordi della scuola primaria, a sei anni appena compiuti: “Piccole Donne” di Louisa May Alcott, un classico intramontabile.
Ho amato le sorelle March, tutte, come sorelle con cui ricordare e confrontarsi, come esseri pensanti, liberi dai vincoli della carta, dotati di pregi e difetti, che osservano lo svolgersi delle medesime vicende tramite il filtro della propria peculiare prospettiva.
Tuttavia, per Jo avevo una predilezione. 
Adoravo quella ragazza dall’indole ribelle e passionale, capace di ideare storie per intrattenere la famiglia, anche quando l’eco della guerra diventa silenzio assordante, anche quando le tenebre gelide della morte calano, inesorabili, e di battersi per il suo sogno, con ostinazione e anticonformismo, fino a diventare una nota scrittrice.

Jo era molto occupata in soffitta, perché le giornate di ottobre cominciavano a farsi fresche e i pomeriggi erano corti. In quelle due o tre ore, durante le quali il sole si attardava con il suo calore sull’alta finestra, Jo, seduta sul vecchio divano, scriveva rapidamente, con le sue carte sparse sopra un baule”.

Desideravo essere Jo, da bambina. Non sono diventata Jo, ma me stessa, la quinta sorella March, come lo sono tutte coloro, Donne, anche se non più “piccole”, che hanno letto con trasporto il libro, apprendendo l’immenso fascino celato nell’intimo segreto delle piccole cose, quelle che vale la pena di assaporare e, tramite la scrittura, condividere.

Emma Fenu


edito in