“Io onorerò sempre Natale nel cuore, io ne serberò il culto tutto l'anno. Vivrò nel passato, nel presente e nell'avvenire”.
I romanzi di Charles Dickens sono magia letteraria. Incantano e rapiscono fin dai memorabili incipit, conducendo il lettore in un mondo talmente reale da apparire grottesco, come in una caricatura deformante, dove la denuncia sociale non è sterile acredine, ma invito alla riflessione.
Ma non solo, le opere dello scrittore ottocentesco, divertono, nel senso etimologico del termine, ossia portano altrove, in una manciata di righe.
"Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico...".
Ed ecco qua, il libro è appena iniziato e io sono già proiettata ne "Il Canto di Natale"!
Mi sdegno per la smorfia sprezzante dipinta sul volto di Scrooge, tendo la mano per accarezzare il faccino tenero di Tim, tremo al cospetto dei tre spettri e mi sciolgo in calde lacrime di commozione davanti ad una tavola imbandita a festa, dove c'è sempre posto per un ospite inatteso.
Tuttavia, non vi racconterò la storia narrata da Dickens nella sua celebre opera. E’ un libro talmente intenso e coinvolgente, nella sua brevità e scorrevolezza, che merita di essere riletto, ancora e ancora, ogni Dicembre. Nessuna recensione, infatti, potrebbe rendergli il giusto tributo.
Vi scriverò, invece, di destino, e della possibilità di cambiarlo, grazie alla volontà di sapersi mettere in discussione; di liberarsi di inutili zavorre, per riappropriarsi di inestimabili tesori sconsideratamente accantonati; di accogliere l’alba di un nuovo giorno con un sorriso che si riflette sui visi di chi ci è accanto, anche soltanto per pochi passi, lungo la strada che ci aspetta.
A Natale siamo tutti più buoni, si suol dire.
Ad essere onesti, si è più recettivi, poiché più propensi a fermarsi, rallentando il ritmo convulso della quotidianità, per assaporare un ricordo che, talvolta, lascia un retrogusto amaro, o per pregustare una fetta di futuro, lungo la scia di un sogno.
Non diventiamo altruisti nello spazio di pochi giorni, scanditi da neve e luci intermittenti, per poi spegnerci nell’indifferenza e nell’egoismo, a festa finita.
Cerchiamo solo di placare il borbottio della coscienza, che pare trovare solenne udienza solo se di rosso vestita.
Tuttavia, se le secche di Gennaio ci ritroveranno tali e quali eravamo al cadere delle prime foglie brunite, non avremo saputo ascoltare abbastanza il tintinnio delle slitte trainate da renne. Saremo rimasti sordi e il destino ci osserverà beffardo, nutrendo il nostro fallimento con briciole di panettone stantio.
Eppure ci spetta l'onore della scelta: basta ritagliare il nostro tempo per i genitori anziani o per i figli piccini; indignarsi per le ingiustizie, senza esserne omertosi complici; difendere diritti, invece che sottrarli, combattendo una guerra fra poveri; concedere un sorriso, prima di pretenderlo.
Sono le piccole cose, messe in fila come i vagoni di un trenino fiammante scartato ai piedi dell’albero, che cambiano il futuro del mondo, se siamo memori del passato e solerti allievi del presente.
Questa è la mia favola, da scandire piano, con dolcezza, la notte della vigilia. E ogni favola è possibile, basta crederci.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch'egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro”.
citazioni tratte da Charles Dickens, Il Canto di Natale.
edito su Nordic Lifestyle Magazine
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